Fitoterapia

FITOTERAPIA

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MusicoTerapia Fitoterapica - LE MELODIE DELLE ERBE

La fitoterapia è un sistema naturale di Terapia che lavora sulle malattie per mezzo dela somministrazione di sostanze vegetali. La fitoterapia è la medicina che in Occidente vanta una tradizione secolare: le preparazioni a base di piante erano infatti i principali medicinali a disposizione fin dal XXVI secolo periodo in cui fu standardizzata l’arte speziale.

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ALCUNE PIANTE OFFICINALI

PROPRIETA'

E LORO UTILIZZI

ACHILLEA MILLEFOLIUM Uso come tonico stomachico - uso emostatico - uso come emmenagogo - altri usi. L'Achillea, o Millefoglie, o Millefoglio, è una tra le nostre piante più comuni. Da maggio alla fine dell'autunno fioriscono le sue false ombrelle bianche, talora rosse, lungo le strade, le ferrovie, nei terreni incolti, nei coltivi, nelle sodaglie. Questa Composita si distingue subito dalle Ombrellifere, con le quali i non botanici potrebbero confonderla, esaminando i suoi piccoli " fiori ", che in realtà sono dei capolini, e dal fatto che i loro comuni peduncoli non partono da uno stesso punto sul fusto principale. Questi caratteri, unitamente a quelli delle foglie, strette, a margini quasi paralleli, con le foglioline disposte su due ranghi e molto finemente frastagliate, la rendono facilmente riconoscibile.Erba formica, Sanguinella: questi nomi popolari spiegano abbastanza come l'Achillea millefoglie fosse stimata in passato da coloro che per professione erano esposti a colpi di sciabola o di ascia. Se le sue proprietà vulnerarie sono oggi poste in dubbio (la pianta applicata su ferite appena riportate ne ritarda piuttosto la cicatrizzazione), l'impiego interno della Millefoglie è stato oggetto di una grande quantità di lavori, che hanno dimostrato la sua utilità come amaro-tonico, emostatico, emmenagogo. Vengono impiegate le sommità fiorite, la cui raccolta è possibile durante tutta l'estate.PROPRIETÀ MEDICAMENTOSE. Uso come tonico-stomachico. L'infusione al cinque per cento è utile nei mali di stomaco acuti e cronici, nelle dispepsie con fermentazioni, negli stati di atonia generale, nei quali gli stimolanti si impongono. Due o tre tazze al giorno prima dei pasti (l'infusione deve essere preparata in piccole quantità per il suo rapido annerimento che si accompagna allo svanimento dell'aroma. Evitare l'uso di pentole di ferro, come con tutte le piante ricche di tannino). All'infusione si può aggiungere l'Anice, il Basilico, il Trifoglio fibrino, nei casi di crisi acute. La macerazione delle sommità nel vino, si fa con le medesime proporzioni e viene usata come aperitivo. L'infusione e la macerazione hanno anche una buona influenza sulla circolazione sanguigna.Uso emostatico: Impiegata nell'uso esterno come topico nelle emorroidi, le ragadi anali in quelle delle mammelle, l'Achillea si dimostra molto efficace, in particolare nelle emorroidi, sulle quali agisce non solo come astringente ma anche " in modo speciale e diretto sui vasi sanguigni e i nervi del retto, e questa azione è nello stesso tempo astringente, tonica e sedativa " (Teissier).In questo caso si può impiegare il succo fresco della pianta schiacciata e spremuta in un pezzo di tela, oppure la pomata ottenuta mescolando in parti uguali il succo con sugna.Quando non si dispone di piante fresche, si può utilizzare la decozione delle piante secche al cinque per cento (far bollire per dieci minuti).In questo caso è utile per tonificare l'organismo, bevendone il decotto, al quale si può aggiungere, nel farlo, la Coda cavallina. L'Achillea infine si può dimostrare preziosa nei casi di emottisi. Essa verrà associata alla Coda cavallina e all'Ortica. Uso come emmenagogo: Nei mestrui dolorosi, scarsi o mancanti in seguito ad una causa accidentale e passeggera (colpo di freddo, emozioni, ecc.) oppure di origine più profonda (clorosi, debolezza generale, ecc.) l'uso dell'infuso concentrato di Millefoglie è di una riconosciuta efficacia, e il flusso mestruale può verificarsi talvolta dopo una sola mezz'ora dall'assunzione. Attendere tuttavia la fine del periodo normale del ritorno del mestruo per iniziare questo trattamento, che non può provocare incidenti nefasti neppure in casi di gravidanza ignorata. Altri Usi: L'Achillea millefoglie è una buona pianta da prato, che si mescola vantaggiosamente con le Graminacee. Falciature frequenti devono tuttavia impedirle di fiorire. La sua presenza è assai desiderabile nei prati temporanei, che essa contribuisce ad arricchire, poiché la presenza di erbe aromatiche e medicinali nei foraggi apporta il migliore degli effetti sulla salute del bestiame.La Millefoglie godeva un tempo la fama di eccellente rimedio contro la scabbia degli ovini.

AGRIMONIA EUPATORIA La famiglia delle Rosaceae è formata da oltre 120 generi e circa 3400 specie, distribuite in tutto il mondo, ma con una diffusione circoscritta soprattutto alla regione temperata dell'emisfero nord.Le Rosaceae includono specie alimentari (Prunus, Fragaria, Malus, Pirus, Rubus, Eryobotrya, ecc.), ornamentali (una per tutte: la celeberrima Rosa) e naturalmente officinali (Alchemilla, Crataegus, Potentilla, Agrimonia, Spirea, Filipendula, ecc.).La flora italiana comprende 25 generi di Rosaceae, con circa 240 specie.Agrimonia è presente con 2 specie, una molto rara (Agrimonia procera Walir.) e l'altra, al contrario, piuttosto comune: Agrimonia eupatoria L.: entrambe condividono le medesime proprietà medicinali. Descriveremo in queste pagine, come di consueto, solamente la più comune nel nostro territorio: Agrimonia eupatoria. Descrizione botanica Nomi volgari: agrimonia, eupatoria, eupatorio dei greci, erba di S. Guglielmo, erba del taglio, erba de andata.Etimologia: Agrimonia, dal latino "argemonia", nome di una specie di papavero usato nell'antichità contro un mal d'occhi detto "arghema". Eupatorio: dal nome di Mitridate Eupatore, re del Ponto (I secolo a.C.) che, secondo la tradizione, introdusse la pianta in terapia. È una pianta erbacea perenne, alta 30-60 cm; il rizoma è breve, verticale. Fusto generalmente unico, cilindrico, con peli sia lunghi che brevi.Foglie imparipennate a contorno oblanceolato (6-8 x 10-15 cm), con 4-5 paia di segmenti principali (2,5 x 5 cm) e segmenti brevi (5-15 mm) intercalati, la pagina inferiore è più chiara della superiore. Le foglie cauline sono, in genere, minori degli internodi. Il fusto termina in un lungo racemo spiriforme (10-30 cm); i fiori sono dotati di un breve pedicello (2 mm), sepali di 1,5 mm, petali gialli (2 x 3,5 mm); gli stami sono 10-20; i carpelli sono 2 (spesso se ne sviluppa 1 solo). Il frutto è un achenio (3-7 mm) che si sviluppa all'ascella di una brattea divisa in 5 lacinie, l'achenio porta nella metà superiore un anello di aculei uncinati.Fiorisce da giugno a luglio. L'eupatoria cresce nei prati aridi, negli incolti, lungo i fossi e le strade, in tutto il territorio nazionale, tra O e 1500 m. Storia e tradizioni: È una storia assai antica, anche se povera di dati certi: già in stazioni neolitiche si sono trovate grandi quantità di frutti di agrimonia, ma non si è ancora riusciti a comprenderne la ragione. Romani e Greci la usavano per combattere le malattie epatiche, come vulnerario e come antiveleno. Dal Medio Evo ci giungono notizie di un suo uso molto diffuso, anche se indifferenziato da Verbena officinalis. Si narra come sotto il nome di eupatoria autori antichi e moderni considerassero, di volta in volta, specie diverse, sembra anzi che i farmacisti del suo tempo chiamassero in questo modo Eupatorium cannabinum. Proprietà e impieghi: Le foglie sono colte prima della fioritura od alla fioritura se interessa la parte aerea; l'essiccazione viene effettuata all'ombra o in locali asciutti o al calore (temperatura non superiore ai 40°), stagionatura di 2-3 giorni rimuovendo, imballo in sacchi. Principi attivi: I principali componenti della droga sono: olio etereo, una sostanza amara, eupatorina, acidi organici (salicilico, nicotinico, ascorbico, citrico, malico, palmitico, stearico, oleico, cerilico, ursolico), vit. K, vit. Bl, quercitrina, tannini, fitosterina, alfa-almirina. Nella pianta e nelle radici fresche è stata trovata una sostanza amara (che non si trova nella droga secca) agrimonolide. Usi della pianta: Nella medicina popolare, l'agrimonia viene usata come coleretico e colagogo, nell'insufficienza e nella congestione epatica, nella colelitiasi nelle enteriti catarrali, nelle gastriti catarrali croniche. Viene impiegata nel reumatismo cronico, muscolare e articolare. L'uso esterno di questa pianta è consigliato nella cura delle ulcere varicose e come colluttorio nelle affezioni della bocca. Leclerc considera l'agrimonia come efficace moderatore dei processi infiammatori. L'estratto acquoso ha dimostrato di possedere effetti antispastici. Si sono ottenuti buoni risultati nelle congiuntiviti (a volte risultati migliori che con l'impiego del cortisone), nelle riniti allergiche e nell'asma bronchiale. Nelle dermatiti pruriginose, nelle faringo-tonsilliti e nelle stomato- gengiviti, l'agrimonia si è sempre mostrata efficace. Le proprietà analgesiche della droga si sono dimostrate preziose nelle nevralgie, nelle nevriti, nelle artriti e periartriti. Sono state sperimentate con successo le proprietà ipoglicemizzanti delle foglie. Secondo alcuni autori, le foglie di agrimonia svolgerebbero una benefica funzione nelle alterazioni del processo digestivo, facilitando il bolo alimentare e le trasformazioni che esso subisce fino all'escrezione. Nell'uso di agrimonia non si sono mai notati effetti collaterali sgradevoli e la tolleranza gastrica (anche per tempi prolungati) è sempre risultata buona. Alcune preparazioni: Estratto fluido: 1-2 cucchiaini per dose, 4-6 al dì; nelle affezioni epatiche: Tintura: 1-3 gr al dì, idem. Sciroppo (agrimonia e.f. 5 gr, sciroppo semplice 95): a cucchiai, come antispastico. Succo (foglie): 20-30 gr al dì, nel catarro intestinale, diarree, dissenterie. Infuso (foglie) 5%: 2-3 bicchieri al dì, come regolatore della digestione. Preparazioni composte: Nell'acne rosacea: Agrimonia 40 gr, rosmarino 30 gr, carciofo 20 gr, infuso 5%, 4 tazze al dì. Nelle adenoidi: Agrimonia 15 gr, assenzio 5 gr, issopo 10 gr, luppolo 20 gr, marrubio 15 gr, parietaria 10 gr, timo 30 gr, infuso 3%, 2 tazze al dì. Contro i calcoli biliari: Agrimonia 20 gr, achillea 40 gr, rosmarino 30 gr, tarassaco 40 gr, infuso 4%, 3 tazze al dì. Nella colecistite: Agrimonia 20 gr, achillea 20 gr, jacea 30 gr, polipodio 10 gr, romice 10 gr, salvia 20 gr, infuso 3%, 500 mi al dì. Come coadiuvante nell'enfisema polmonare: Agrimonia 20 gr, issopo 30 gr, papavero 40 gr, polmonaria 30 gr, infuso 4%, 4-5 tazzine al dì. Nella esofagite: Agrimonia 40 gr, camomilla 20 gr, farfara 30 gr, lavanda 20 gr, infuso 5%, 2 grossi bicchieri al dì. Nella faringite: Agrimonia e.f. 20 gr, issopo tin- tura 10 gr, lavanda tintura 10 gr, pino mugo e.f. 10 gr, disciogliere in acqua (1:4), come colluttorio. Contro la glossite: Agrimonia 40 gr, farfara 20 gr, papavero 40 gr, tasso barasso 40 gr, infuso 5%, 4 tazze al dì. Nell'incontinenza urinaria: Agrimonia succo 50 gr, uva ursina 50 gr, luppolo succo 10 gr, 4 cucchiaini al dì. Nell'insufficienza epatica:Agrimonia 40 gr, camedrio 20 gr, carciofo 20 gr, infuso 2%, 4 tazzine al dì. Contro la nausea: Agrimonia tintura 20 gr, achillea tintura 20 gr, lichene tintura 40 gr, mirtillo tintura 20 gr, 10 gocce ogni ora. Nella tracheite: Agrimonia sciroppo 25 gr, malva sciroppo 25 gr, piantaggine sciroppo 25 gr, viola 25 gr, 1 cucchiaio 4 volte al dì. Nella tracheite: Agrimonia 25 gr, erisimo 50 gr, eucalipto 25 gr, lavanda 25 gr, papavero 25 gr, rovo 25 gr, timo 25 gr, infuso 10%, fare gargarismi, più volte al giorno. Nell'ulcera gastro-duodenale: Agrimonia e.f. 40 gr, betonica e.f. 20 gr, calendula e.f. 20 gr, rovo e.f. 20 gr, 10 gocce 2 volte al dì. Contro il vomito: Agrimonia tintura 30 gr, achillea tintura 20 gr, lichene tintura 30 gr, melissa tintura 20 gr mirtillo tintura 20 gr, 10-20 gocce ogni ora. Agrimonia estratto molle acquoso, in pomata al 20%, nelle flogosi. Agrimonia decotto in vino al 20%, per lavaggi di piaghe di ogni tipo. In veterinaria: infuso 20%, per lavaggi di ferite e piaghe. ALGHE BRUNE ( la Kelp) La Kelp, è un'alga bruna e come tutte le alghe brune, grazie al loro contenuto in iodio, viene utilizzata come attivatore della funzionalità tiroidea. Inoltre, grazie al loro contenuto in alginati e mucillagine, queste alghe hanno la proprietà di ridurre l'appetito ed anche l'assorbimento intestinale di carboidrati proteine e grassi. Per queste ragioni, le alghe brune, sono da considerarsi come i più indicati integratori nel trattamento dell'obesità specie se dovuta ad ipotiroidismo. Dai quaderni di fitoterapia editi in Italia da PLANTA MEDICA, riportiamo queste informazioni: LE ALGHE Per la loro ricchezza in proteine e idrati di carbonio, le alghe costituiscono per decine di milioni di persone un alimento quotidiano. Appartengono al gruppo delle tallofite clorofìllacee che va a riagganciarsi alle crittogame o piante senza fiori. Ne esistono diverse varietà, a seconda del colore: alghe verdi (cloroficee), brune (feoficee), rosse (rodoficee), e blu (cianoficee). Sono utilizzate in numerose forme industriali e in agricoltura (goemone), e sono inoltre parte integrante degli elementi fitoterapici che il medico può prescrivere nel trattamento di alcune affezioni. Lo studio della loro composizione chimica permette di comprendere alcune delle loro indicazioni. 1) Grande ricchezza di iodio, soprattutto nelle alghe brune: laminarie e fucus. Questo spiega perché nel XVII secolo furono utilizzate nel trattamento del gozzo e nel morbo di Basedow. 2) Grande ricchezza di vitamine; - in particolare provitamine A, C, D. Per esempio Ulva lactuca contiene la stessa quantità di vitamina A del cavolo e altrettanta vitamina C delle arance: si potrà quindi prescrivere ai bambini, al posto dello Sterogyl o del calcio di sintesi, delle alghe sotto forma di tintura o estratti; -vitamina E, contenuta nelle alghe rosse e nelle laminarie, di cui si conosce l'azione eutrofica nel caso di arteriosclerosi e in alcune collagenosi; - provitamina K dalle proprietà anti-emorragiche; - tutte le vitamine del gruppo B. 3) Grande ricchezza di sali e oligo-elementi: - iodio, bromo; - Ca, Mg, contenuti in grande quantità in alcuni litotamni ("maerl"); - Mn, che può spiegare alcuni dei loro effetti antiallergici; - As; - K (utile sulla diuresi); - Fe, soprattutto nelle alghe verdi. 4) Principi antimicrobici, antimicotici e antivirali, in particolare specificità antibiotica delle clorelle sugli stafilococchi. Attività di alcuni tipi sulla Candida albicans. Nel XVIII secolo, in Irlanda, un'alga rossa, Chondrus cripsus, veniva prescritta con successo nei casi di infezione polmonare. Alla presenza di acido essuronico si dovrebbe la resistenza alle infezioni osservata nei naufraghi che ingeriscono fito-plancton. 5) Principi anti-anemici: l'acido essuronico associandosi alla vitamina B 12 catalizza la trasformazione dell'acido folico in acido folinico. Questo permette di comprendere le indicazioni di alcune alghe, che ne contengono in grande quantità, per il trattamento delle anemie ipercrome magslocitarie, di alcune leucopenie e della porfirinuria. 6) Principi vermifughi: il decotto di un'alga, Alsidium helminthocorton ("schiuma di Corsica") si rivela un eccellente vermifugo, in particolare nei casi di ascaridiosi e ossiuriosi. 7) Principi diuretici: alcune alghe brune (sargassi) presentano proprietà diuretiche e decongestionanti delle vie urinarie. 8) Azione anti-infiammatoria e regolatrice intestinale dell'agar-agar e del carragheen (estratto di Chondrus crispus.). La pectina delle alghe rosse è commercializzata sotto il nome di agar-agar o di carragheen (mucillagine) e può servire per il trattamento di alcune gastrici, ulcere gastriche o coliti con costipazione. 9) Azione anti-acida, antisettica ed emostatica degli alginati, che presentano peraltro anche poteri radio-decontaminanti. 10) La parte mucillaginosa delle alghe brune (algina) serve al trattamento dell'obesità e nelle cure dimagranti (come moderatore dell'appetito). Questi diversi effetti fisiologici spiegano la prescrizione delle alghe in alcune malattie e sindromi: - disturbi del metabolismo dello iodio, - carenze organiche di varia natura, - deficit di vitamine o oligo-elementi, - rachitismo, obesità, - terreni reumatici, arteriosclerotici, - varie infezioni, - parassitosi intestinale, - alcuni disturbi delle vie urinarie, - gastriti, coliti, - disturbi circolatori. La polivalenza d'azione delle alghe ne spiega la frequente prescrizione in vari disturbi presentati dal malato.

ALOE VERA (ACQUISTA QUI ALOE VERA) Specie botanica: Aloe vera (L.) N.L. Burm. (sin. Aloe barbadensis Mili.); A. perfoliata L. var. vera L.; A. arborescens Miller var. natalensi Berger; A. ferox Miller ed i suoi ibridi con A. africana Mili. e A. spicata Baker; A. perryi Baker (Famiglia Liliaceae). DESCRIZIONE GENERALE - Due sono i prodotti principali derivati dalle foglie di specie del genere Aloe. Il succo amaro e giallastro, presente in cellule specializzate al di sotto della spessa epidermide, fornisce la droga dell’aloe. Il tessuto parenchimatico al centro della cellula contiene invece un gel mucillaginoso che fornisce il gel di aloe o di aloe vera, che generalmente è ottenuto da A. vera.Tutte le specie menzionate sono erbe succulente perenni originarie dell'Africa e successivamente irradiatesi in altre parti del mondo. Non vanno confusi con i cactus o con aloe americana, o pianta centenaria, che appartiene al genere Agave. La nomenclatura delle specie di Aloe presenta una notevole confusione. Attualmente sono annoverate nel genere Aloe più di 360 specie. Il binomio Aloe vera fu introdotto da N.L. Burman nel 1768 e pertanto ha la priorità su quello di A. barbadensis dovuto a Miller. L’Aloe vera fornisce l’aloe di Curacao, o aloe delle Barbados, che è prodotto nelle Indie Occidentali (Curacao, Aruba, Bonaire). L’Aloe ferox ed i suoi ibridi forniscono l'aloè del Capo, che è prodotto nel Sud Africa. Altre specie del genere Aloe forniscono droghe di minore importanza, sebbene A. arborescens var. natalensis B erger recentemente è stata oggetto di importanti studi in Giappone, dove è chiamata aloe Kidachi. La droga aloe si ottiene tagliando le foglie alla base e lasciando colare il succo amaro e giallastro. Scaldando si evapora l'acqua e il residuo risultante appare come una massa bruno scura. L'aloina commerciale è la forma commerciale dell’aloe, che contiene un'elevata concentrazione di antrachinoni (principalmente barbaloina), ma il prodotto commerciale non è costituito da aloina pura. Aloe vera gel viene ottenuto con diversi metodi, alcuni brevettati ed altri registrati. Essenzialmente questi metodi si basano sulla spremitura e/o sull'estrazione con solventi, ricorrendo spesso a vigorosi trattamenti fisici e chimici; i prodotti gel risultanti hanno proprietà considerevolmente differenti e generalmente non sono rappresentativi delle caratteristiche del gel fresco. COMPOSIZIONE CHIMICA I principi attivi dell’aloe sono costituiti da antrachinoni catartici; questi composti sono principalmente dei C-glicosidi, in particolare barbaloina, che è un glucoside dell'aloe-emodina. La maggioranza delle specie ne contengono tra il 10 ed il 20%, ma alcune raggiungono il 30%. Si è scoperto che una singola pianta di A. vera (A. barbadensis) da Mannar (Sri Lanka) conteneva nel succo il 57% di barbaloina. La concentrazione più alta di barbaloina si trova negli essudati delle foglie giovani mature, mentre decresce nelle foglie più vecchie verso la base della pianta. La concentrazione degli antraglicosidi varia a seconda dei tipi di aloè tra il 4,5 e il 25% di aloina. Altri costituenti presenti comprendono aloesina ed il suo aglicone aloesone (un cromene),8 antrachinoni liberi (ad esempio aloe-emodina) e resine. La composizione del gel di aloe vera non è stata ancora chiarita. Finora gli studi hanno indicato che il gel è costituito da più di un tipo di polisaccaride. Mentre secondo uno studio vi erano almeno quattro differenti glucomannani parzialmente acetilati con legami interglicosidici altri presentavano un galattano acido, mannano, glucomannano, arabinano e/o glucogalamannano. Secondo gli studi in ciascun polisaccaride varia molto il rapporto degli esosi; altrettanto si può dire del peso molecolare.10'12 Altri costituenti riscontrati o comunque considerati presenti sono altri polisaccaridi (contenenti galattosio, xilosio e arabinosio), steroidi, acidi organici, enzimi, principi ad attività antibiotica, amminoacidi, "stimolatori biogenici", saponine di tipo "ormoni cicatrizzanti" e sostanze minerali. I polisaccaridi costituiscono lo 0,2-0,3% del gel fresco e lo 0,8-1,2% della materia essiccata. Nel prodotto finito l'autodegradazione dei polisaccaridi del glucomannano produce principalmente dei mannani. I polisaccaridi del gel, costituiti principalmente da mannosio e glucosio in rapporto 1:3, possono degradarsi in 48 ore a temperatura ambiente, con una diminuzione del contenuto in glucosio ed un aumento del rapporto mannosio:glucosio fino a >10. L'aggiunta di un polisaccaride solfatato di origine algale (estratto da una specie di microalga rossa) ha condotto ad un'inibizione della degradazione e ad un imbrunimento del polisaccaride dell'aloe. È stato suggerito che la carbossipeptidasi, un enzima carbossipeptidasi trovato in A. arborescens ed in altre specie, sia il principale agente antitermico delle specie di aloe. FARMACOLOGIA O ATTIVITÀ BIOLOGICHE La droga dell’aloe e la sua forma purificata, aloina, possiedono proprietà catartiche con azione sul colon. Hanno sapore spiccatamente amaro e sono considerate per questo le meno gradevoli tra le droghe ad azione purgante (vedi cascara e senna), considerando anche la loro tendenza a suscitare coliche ed irritazione. Un'overdose causa dolori addominali, diarrea sanguinolenta, gastrite emorragica e qualche volta nefrite (GOSSELIN, MARTINDALE). L'aloina stimola la secrezione degli elettroliti e dell'acqua dall'intestino mediante aumento della pressione interna, che stimola la peristalsi. L'aloe-emodina (vedi frangola) avrebbe secondo alcuni studi attività anticancro ed antivirale (herpes simplex tipi 1 e 2). Un estratto etanolico delle foglie intere sarebbe anche attivo contro i virus. Un estratto alcolico della droga avrebbe anch'esso attività contro il cancro (JIANGSU). Studi recenti si sono incentrati sulla farmacologia del gel di aloe e sul suo meccanismo d'azione. Alcuni hanno esplorato l'attività immunoreattiva ed immunomodulatoria di diverse specie di Aloe. Le ledine isolate in una parte del gel di A. vera hanno evidenziato un'elevata attività emagglutinante e mitogenica. L'aloctina A, isolata dalle foglie di A. arborescens, posta in coltura con cellule umane T e cellule accessorie, ha condotto ad una produzione di quantità diverse di linfochinine, quali interleuchine-2 (IL-2), IL-3 ed interferone-y (INF-y). Recentemente è stato scritto che l'aloctina A ha la proprietà di aumentare l'attività delle cellule killer e di indurre la citotossicità cellulare in tumori singenici ed allogenici in vitro, l'aloctina A ha inoltre evidenziato attività antiinfìammatoria, antiulcera (inibizione della secrezione gastrica e delle lesioni gastriche) ed antitumorale. La lectina si è anche dimostrata attiva contro l'edema e capace di effetto potenziante per l'artrite nei ratti. La carbossipeptidasi (da A. arborescens) ha evidenziato significativi effetti analgesici (comparabili con quelli della bromelina) e la capacità di inibire l'aumento della permeabilità vascolare nel topo con infiammazione addominale provocata da acido acetico. È inoltre presente nei ratti un significativo effetto vulnerario sulle ferite provocate dalle scottature; tuttavia l'effetto risulta maggiore se l’aloe è usato come agente profilattico piuttosto che applicato dopo la bruciatura. È stato ipotizzato che la carbossipeptidasi possa essere uno degli agenti antiinfiammatori dell'aloe, sebbene altri costituenti possano contribuire a tali effetti. Una recente rassegna dedicata agli studi farmacologici e cimici giunge alla conclusione che l’aloe è in grado di favorire la cura delle ferite; essa presenta valore terapeutico in caso di bruciature e di una vasta gamma di ferite dei tessuti morbidi, previene l'ischemia progressiva del derma provocata da bruciature, congelamento, danni da shock termici, ferite da colpi, abusi intrarteriali da droga ed altri danni non in sintonia con l'etiologia del trauma. L’aloe è in grado di penetrare all'intemo dei tessuti offesi, di alleviare il dolore, di agire da antiinfìammatorio, di dilatare i capillari, aumentare l'afflusso di sangue alla parte danneggiata. L’aloe ha inoltre attività antitrombossanica, mantenendo il rapporto in prostaglandine, senza causare il collasso del vaso sanguigno offeso.Gli estratti di aloe O/A aumentano in maniera significativa i livelli di collagene solubile, il che porta ad ipotizzare un effetto topico contro l'invecchiamento.È stata pubblicata anche un'eccellente review sugli usi terapeutici dell'aloe. USI Medicinali, farmaceutici e cosmetici. Attualmente l'unico uso ufficialmente riconosciuto dell’aloe è quello di ingrediente nella tintura composta di benzoino, presumibilmente in ragione delle sue proprietà benefiche sulla pelle. Aloe ed aloina sono largamente impiegate come principi attivi nei preparati lassativi, spesso con altre droghe catartiche, come lo spinocervino, la cascara e la senna; spesso risultano anche inclusi gli estratti di belladonna per alleviare gli effetti delle coliche. L'àloina è anche impiegata in prodotti per trattare l'obesità. In Germania il succo concentrato secco delle foglie di aloe è impiegato nei casi in cui si voglia favorire la defecazione ed in cui siano desiderate feci molli, nel caso, ad esempio, di screpolature anali, emorroidi, chirurgia postanorettale e costipazione refrattaria.20 Il gel di aloe e qualche volta la droga stessa sono usati come idratanti, emollienti o vulnerarie! in diverse preparazioni cosmetiche e farmaceutiche. Gli estratti di aloe o l'aloina sono impiegati in prodotti solari e in altri cosmetici. Alimentari. Gli estratti di aloe sono usati come aromatizzanti soprattutto nelle bevande alcoliche ed analcoliche e nei dolci per aggiungere un gusto amaro. Il livello massimo utilizzato è di circa 0,02% nelle bevande alcoliche (186 ppm) e analcoliche (190 ppm) e di 0,05% nei dolci; gli estratti usati possono essere delle tinture o estratti molto diluiti, dato che estratti standard (quali estratti secchi o fluidi) possono contenere antraglicosidi, troppo attivi per poterli considerare sicuri per la salute. Prodotti erboristici. Il gel di aloe vera è usato nelle bevande analcoliche che sono comunemente note come succo di aloe vera. Si produce normalmente a partire dal gel di aloe vera, mediante diluizione con acqua, mischiando con acido citrico e conservanti. Viene a volte conservato anche con succhi di frutta e/o estratti vegetali. Sebbene l'etichetta dichiari "puro" succo di aloe vera, raramente il succo è effettivamente puro, in quanto contiene solo una bassa percentuale di gel di aloe vera. I prodotti del gel di aloe sono disponibili in forme liquide e secche. I prodotti liquidi più comuni sono concentrati 10X, 20X e 40X, mentre l'estratto secco nebulizzato di aloe vera è il prodotto più diffuso. Sebbene i concentrati liquidi commerciali siano generalmente genuini, maggiore è la loro concentrazione e più risultano degradati, come evidenziato dalla loro mancanza di viscosità. Sebbene siano dichiarate concentrazioni 200X di puro gel di aloe, i prodotti secchi di solito contengono altre concentrazioni di veicolanti, come gomme (acacia, guar, carrube) lattosio, mannitolo, amido idrolizzato e/o altri. Medicina tradizionale. Ben conosciuto come rimedio domestico è il gel fresco di aloe vera. Per questa ragione negli Stati Uniti l’aloe vera è anche chiamata popolarmente la "pianta delle bruciature" o "pianta di primo soccorso". Quando è fresco il gel ha la proprietà di facilitare la cicatrizzazione delle ferite e presenta anche proprietà idratanti ed emollienti. La pianta viene ampiamente usata per questi scopi come rimedio casalingo; si tratta del rimedio popolare più diffuso tra la popolazione degli USA (LUST). PREPARAZIONI COMMERCIALI La droga grezza, l'aloina e gli estratti in forme varie. FARMACOPEA UFFICIALE ITALIANA (F. U. I) La F.U.I. riporta tre monografie dedicate all’aloe, di cui due sulla droga ed una sull'estratto secco: Aloe delle Barbados (Aloe barbadensis, presente anche nella Farmacopea Europea), nota anche come Aloe di Curacao o delle Antille. Costituzione: succo condensato a secchezza ottenuto dalle foglie di Aloe barbadensis Mili. (sin. Aloe vera L., Aloe vulgaris Lamk.). Titolo: non meno del 28,0% di derivati idrossiantràcenici calcolati come barbaloina anidra. Caratteri principali: masse bruno-nerastre opache e polvere bruna. Odore penetrante e sapore amaro. Identificazione: esame della fluorescenza alla luce UV di 365 nm di una soluzione acquosa trattata e reazione all'acqua di bromo. Saggi: Esame cromatografico su strato sottile. Determinazione quantitativa: basata sul saggio spettrofotometrico, rispetto alla barbaloina. Conservazione: in recipienti chiusi, al riparo dalla luce.

ALOE DEL CAPO (Aloe capensis, presente anche nella Farmacopea Europea). Costituzione: succo condensato a secchezza ottenuto dalle foglie di diverse specie di Aloe, principalmente Aloe ferox Mili. e suoi ibridi. Titolo: non meno del 18,0% di derivati idrossiantracenici calcolati come barbaloina anidra. Caratteri principali: masse bruno-scure con riflessi verdastri. Odore penetrante e sapore amaro. Identificazione: esame dei caratteri morfologici e cromatografia su strato sottile. Determinazione quantitativa: basata sul saggio spettrofotometrico, rispetto alla barbaloina. Conservazione: in recipienti ben chiusi, al riparo dalla luce e dall'umidità.

ALOE ESTRATTO SECCO TITOLATO (Aloes extractum siccum normatum, presente anche nella Farmacopea Europea). Costituzione: estratto secco preparato impiegando una delle droghe precedenti o la miscela delle due mediante dissoluzione in acqua depurata, filtrazione ed essiccazione. Titolo: non meno del 22,0% di derivati idrossiantracenici calcolati come barbaloina anidra. Caratteri principali: polvere di colore bruno o giallo-bruno. Odore debole penetrante e sapore amaro. Identificazione: esame dei caratteri morfologici e cromatografìa su strato sottile. Determinazione quantitativa: basata sul saggio spettrofotometrico, rispetto alla barbaloina. Conservazione: in recipienti chiusi, al riparo dalla luce. NORMATIVA. Nella legislazione italiana il livello massimo d'uso dell'aloina è di 2.0 mg/kg negli alimenti, 20 mg/kg nelle bevande e 50 mg/kg nelle bevande alcoliche.

ALTEA Specie botanica: Althaea offìcinalis L. (Famiglia Malvaceae). Sinonimi italiani: bismalva, malvavisco. Denominazioni internazionali: Althea root, marshmallow root, guimauve, Eibisch. DESCRIZIONE GENERALE Erba perenne, ricca di folta peluria che conferisce un aspetto vellutato, alta fino 1,5 m, con foglie trilobate con margine crenato, fiori rosati grandi circa 3 cm raccolti in infiorescenze peduncolate. Cresce nei luoghi umidi e paludosi; originaria dell'Europa, è naturalizzata negli USA dal Massachusetts alla Virginia, ma si trova anche altrove in zone ristrette. La parte preferita è costituita dalle radici scorticate, raccolte in autunno, ma si trovano in commercio anche la radice intera essiccata e le foglie essiccate. COMPOSIZIONE CHIMICA Risulta contenere amido, pectine, mucillagine, zuccheri, grassi, tannini, asparagina ed ossalato di calcio.Il contenuto in mucillagini risulta generalmente intorno al 25-35%, ma quello dei polisaccaridi omogenei delle mucillagini risulta molto più basso. E stata riscontrata una variazione notevole del contenuto in mucillagini a seconda della stagione (6,2-11,6%), con i valori più alti in inverno.' Una mucillagine omogenea purificata, denominata mucillagine di altea O, è risultata composta da L-ramnosio:D-galattosio:acido D-galatturonico:acido D-glucuronico nei rapporti molari 3:2:3:3, con un peso molecolare di circa 34.000 (come sale di ammonio). Ne è stata studiata la sequenza delle unità zuccherine e la configurazione dei legami interglicosidici. Recentemente sono stati identificati nelle radici scopoletina, quercetina, canferolo, acido clorogenico, acido caffeico e acidi p-cumarici. FARMACOLOGIA O ATTIVITÀ BIOLOGICHE Gli estratti di radice di altea sono considerati capaci di proprietà emollienti, lenitive sulle membrane della mucosa, con effetti antitossivi. Si attribuiscono queste proprietà soprattutto alle mucillagini. La mucillagine di altea O ha evidenziato forte attività ipoglicemica. La droga costituita dalle radici grezze può ritardare l'assorbimento di altre droghe assunte contemporaneamente. USI Medicinali, farmaceutici e cosmetici. Principalmente come emolliente in numerosi preparati farmaceutici, in particolare nelle medicine per la tosse. In Europa i preparati di foglie e radici sono usati in caso di irritazione delle mucose orali o faringee associate a tossi secche irritanti; le radici sono impiegate anche in caso di stati di leggera infiammazione della mucosa gastrica.6'7 Le radici vengono usate tal quali o in formulazioni con dose diaria di 6 g; le foglie, invece, in dosi giornaliere di 5 g o equivalenti nelle formulazioni. Alimentari. Utilizzata in quantità limitate nelle bevande alcoliche ed analcoliche, in dolci, canditi, prodotti da forno, gelatine e pudding. Gli estratti delle radici si impiegano nei dolciumi. I livelli d'uso negli Stati Uniti sono molto bassi, generalmente al di sotto dello 0,002% (20 ppm). Medicina tradizionale. In Europa, da più di 2.000 anni, ha un uso sia interno che esterno come vulnerario, come rimedio per la tosse, mal di gola e problemi intestinali; in linimenti per mani screpolate e geloni. (BIANCHINI e CORBETTA, POSTER). PREPARAZIONI COMMERCIALI La droga e gli estratti. NORMATIVA In Germania i frutti e le radici sono oggetto di una monografia ufficiale. La radice tal quale, con dose giornaliera di 4,5 g e le preparazioni galeniche sono prescritte in caso di uso interno per perdita dell'appetito e di disturbi alla digestione, tra cui leggeri spasmi gatrointestinali e flatulenza. La droga grezza costituita dai frutti e le sue preparazioni non sono indicate per l'attività diuretica e diaforetica, in quanto la loro efficacia e sicurezza non sono sufficientemente dimostrate. FARMACOPEA UFFICIALE ITALIANA (F. U. I.) La F.U.I. dedica una monografìa all'altea (Althaea radix) con le seguenti indicazioni principali: Costituzione: radici di Althaea officinalis, private della maggior parte della corteccia esterna ed essiccate. Descrizione: radici fibrose, bianco-grigiastre con superficie esterna biancastra ed all'interno cellule rotondeggianti a mucillagine. Saggi: Indice di rigonfiamento non inferiore a 10, determinato su 0,5 g della droga polverizzata. Elementi estranei: non più del 2% di radici lignificate ed altro. Assenza di cellule con sabbia cristallina, probabilmente proveniente da Atropa belladonna. Determinazione: ioni solfito, perdita all'essiccamento, ceneri totali. Conservazione: in recipienti ben chiusi, al riparo dalla luce.

BIANCOSPINO Crataegus oxyacantha (C. laevigata) Crataegus monogyna. II biancospino è un arbusto diffuso nei nostri boschi. Appartiene alla famiglia delle Rosacee. Le due specie di biancospino citate si differenziano appena l'una dall'altra. Crataegus oxyacantha ha foglie a tre-cinque lobi, irregolarmente seghettate, in particolare verso l'apice, e i lobi stessi presentano una forma più arrotondata. Le foglie e i rametti sono parimenti glabri. Il nome oxyacantha deriva da oxys = punta e akantha = spina. Crataegus monogyna, il biancospino monostilo, ha, come OXIACANTHA. Dice il nome stesso, solo uno stilo, mentre Crataegus oxyacantha ha per lo più due stili, più raramente anche uno solo o persino tre. Le foglie sono più profondamente incise e i lobi appuntiti. I rametti sono glabri, ma i peduncoli dei fiori sono pelosi. Morfologicamente le due specie di biancospino sono assai simili e solo con una attenta osservazione si possono distinguere. Ma ciò non è indispensabile, perché entrambi sono ugualmente efficaci ed entrambi sono impiegati in fitoterapia. Lo spino rosso dei giardini è solo una forma a fiori rossi di biancospino, altrimenti senza altra differenza, che però non è impiegato in erboristeria. Anche alcune altre specie di biancospino, originarie in particolare del Nord-America, impiantate nei nostri giardini, non hanno alcuna importanza medicinale. Le si trova però, a volte, nella droga come sofisticazione. Del biancospino sono impiegati principalmente i fiori, Flores Crataegi, e le foglie, Folio Crataegi Come droga si impiegano spesso insieme: Flores et Folia Crataegi (Crataegi folium cum flore). In questo caso, è molto caratteristico ritrovare in mezzo alle foglie i piccoli punti bianchi dei fiori seccati. Perciò la droga del biancospino è facile da riconoscere. Per i preparati preconfezionati sono impiegati soprattutto anche i frutti immaturi. I frutti maturi di biancospino sono rosso-lucenti e molto simili a un piccolo cinorrodo di rosa. Il biancospino è divenuto in breve tempo uno dei più usati rimedi cardiaci, tuttavia per quanto concerne l'efficacia e il fitocomplesso la discussione è ancora del tutto aperta. Una cosa però sappiamo con assoluta certezza: il biancospino non è un digitaloide, non contiene cioè alcuna sostanza di carattere digitalico. Nei manuali più vecchi si trova trattato il biancospino ancora accanto ai digitaloidi e questa originaria interpretazione ha portato a una deplorevole confusione di idee; glicosidi simildigitalici o ulteriori principi attivi, con cui viene compensato un cuore insufficiente, nel biancospino non sono presenti. Tutti i tentativi terapeutici in questa direzione erano destinati a fallire, cosicché per un pezzo non si è riusciti bene a capire in quali casi il biancospino fosse indicato. E come facilmente accade, si arrivò a negarne una rilevante azione complessiva. Intanto le cose sono cambiate totalmente: oggi sappiamo già moltissimo sui possibili effetti del biancospino e soprattutto ciò che nella pratica erboristica è necessario. Adesso è assodato che il biancospino è realmente una vera e propria pianta medicinale per il distretto cardiaco e per le patologie circolatorie, con particolari possibilità di azione. Anche qui è risultato che l'effetto totale è il prodotto della somma di una serie intera di principi attivi, dei quali ciascuno singolarmente preso è troppo scarso per poter essere sufficientemente obiettivato in un esperimento farmacologico, però, l'insieme dei vari componenti, così come essi si trovano naturalmente mescolati in natura, ha proprio un effetto specifico e di alto valore. Chiaramente i singoli principi non agiscono solo per reciproca addizione o sinergicamente, ma si potenziano in modo specifico. Due sono i gruppi principali di principi attivi ritrovati nel biancospino: 1. flavonoidi come iperoside, rutina, composti flavonglicosilici; 2. procianidine oligomere, 1-epicatechina. Essenzialmente si tratta di una miscela di diversi flavonoidi con procianidine oligomere. Queste derivano dalla catechina e hanno il nome di procianidine a causa della loro proprietà di formare con acidi minerali diluiti delle cianidine chiaramente colorate da deidrocatechine originariamente incolori. Un principio attivo principale, che possa servire come parametro per la standardizzazione, non è stato trovato. Perciò oggi si tenta, per ottenere un'azione uniforme, di standardizzare in parte in base al contenuto di flavoni, in parte in base alle policianidine oligomere. Wagner trovò nel biancospino innanzitutto delle amine come composti inotropo-positivi (1981). Egli saggiò i fiori secchi di biancospino con l'aiuto dei modelli recentemente descritti sulle amine cardiotoniche e trovò con il test farmacologico un'evidente azione inotropo-positiva. I composti cardiotonici si trovano innanzitutto nei fiori di Crataegus oxyacantha, mentre il contenuto delle foglie e dei frutti si rivelò sostanzialmente minore. Tutte e tre le amine isolate appartengono al gruppo delle sostanze attive indirettamente simpaticomimetiche. Tuttavia questi composti possono veramente spiegare molto poco l'effetto terapeutico dei preparati di Crataegus assunti per via orale, perché essi dopo l'assorbimento intestinale vengono rapidamente idrolizzati; forse sono corresponsabili dell'azione dei preparati di Crataegus applicati per via parenterale. Ad ogni modo queste ricerche ci insegnano che il problema dell'effetto è ancora lungi dall'essere risolto. Diviene ancora una volta chiaro che la materia viva, così come si trova nelle piante officinali, pone al lavoro analitico problemi di gran lunga più difficili di quelli a cui sono abituati i ricercatori della scuola classica, che lavorano con sostanze attive chimiche isolate. Tanto maggiore importanza in questa situazione spetta, dunque, all'esperienza pratica e clinica. A questo proposito, ha una particolare rilevanza un notevolissimo studio multicentrico in doppio cieco di tre giapponesi, Iwamoto, Ishizaki e Sato (1981). Esso è stato pubblicato in una rivista medica giapponese ed è disponibile in traduzione tedesca. La ricerca è stata condotta su un estratto alcolico di frutti e foglie di Crataegus monogyna e C. oxyacantha, la ricerca dimostrò l'efficacia del biancospino, rispetto al placebo, su alterazioni della funzionalità cardiaca corrispondenti ai livelli I e II della classificazione della New York Heart Association. Al livello patologico 1 il paziente non ha disturbi a riposo e sotto trattamento; al livello II la capacità di sforzo è limitata a un carico fisico medio,- il livello III è contraddistinto dal fatto che già con un carico modesto compare una evidente dispnea; però a riposo non si hanno disturbi, al livello IV, infine, disturbi sono presenti già in condizione di riposo. Gli autori riassumono i risultati raggiunti in una serie di tabelle. Essi si riferiscono al grado generale di miglioramento, alla differenza tra i valori prima e dopo il trattamento e al grado di miglioramento dei sintomi soggettivi e della funzione cardiaca; il numero totale dei pazienti seguiti nello studio ammonta a 120. Per quel che riguarda il miglioramento generale e quello della funzionalità cardiaca, si trovarono nel gruppo trattato con Crataegus risultati chiaramente migliori che non nel gruppo-placebo con p < 0,01; riguardo al miglioramento dei sintomi soggettivi, con p < 0,001, soprattutto rispetto a dispnea e palpitazioni. Clinica Modalità di azione Tre effetti devono essere distinti nel caso del biancospino: * miglioramento della circolazione coronarica. Per questa via si ottiene una riduzione della predisposizione alle crisi nell'angina pectoris e la rimozione dei disturbi coronarici soggettivi. Prove sperimentali hanno evidenziato con assoluta chiarezza che l'estratto acquoso di Crataegus ha un'attività coronarica; sono certi un incremento dell'irrorazione dei vasi coronarici e una dilatazione degli stessi. La conseguenza è non solo una eliminazione degli stati spastici, e perciò un'attenuazione dei disturbi soggettivi che ne derivano, ma anche un miglioramento dell'irrorazione del miocardio stesso, quindi una rimozione dell'ipossiemia. L'effetto immediato sulle cellule del miocardio è da intendersi nel senso di un incremento di attività e di un miglior trofismo delle stesse. Diversamente dalla digitale e dai digitaloidi, che agiscono sulla sostanza contrattile delle cellule miocardiche, l'azione del biancospino si estende alle altre parti del muscolo cardiaco, che sono in gioco più per il trofismo, le riserve di energia, la spesa di energia. In particolare, si tratta di un positivo effetto sulla concentrazione di calcio intracellulare. Con ciò si spiega anche come mai dal biancospino non ci si debba attendere un rapido innalzamento dell'energia cardiaca immediatamente dopo la somministrazione, bensì un influsso persistente sulle alterazioni degenerative legate all'età del cuore. Analogo discorso vale per il miglioramento dell'irrorazione delle coronarie, che con la somministrazione prolungata si manifesta prima, ma poi persiste a lungo. I due effetti si completano a vicenda. Pertanto il biancospino non è né un mezzo per trattare un attacco di angina pectoris, per cui la nitroglicerina rimane sempre indispensabile, né un mezzo per il rapido superamento di uno scompenso cardiaco; ciò deve essere sempre sottolineato per avere sempre presente la differenza con digitale e digitaloidi e assegnare al biancospino il posto del trattamento di lunga durata delle coronaropatie, dove esso trova la sua collocazione più congeniale. * II biancospino non ha un'azione antiipertensiva. Tuttavia i valori pressori possono regolarsi grazie al miglioramento dell'energia del cuore, forse persino normalizzarsi. Quindi una pressione elevata può abbassarsi e d'altra parte una pressione ridotta può salire; l'indicazione come ipotensivo in senso stretto è però scorretta. In parecchi casi sarà opportuno combinare il biancospino con una pianta ipotensiva, quindi la Rauwolfia o il vischio. Non c'è, per questo, bisogno di nessuna specialità preconfezionata, anzi una simile combinazione si può preparare meglio e più elasticamente in proprio, somministrando un preparato puro di biancospino e un preparato puro di Rauwolfia. L'ideale è prendere il biancospino la mattina a digiuno e la sera prima di coricarsi, circa 30 gocce di tintura o di un preparato puro, e inoltre un preparato di Rauwolfia dopo la prima colazione e dopo cena. * Disturbi ritmici del cuore. Sono emersi come il più recente campo di applicazione del biancospino; innanzitutto le extrasistoli di genesi diversa, inoltre la tachicardia parossistica e gli altri attacchi di tachicardia, meno invece le tachiaritmie. Con un'iniezione e.v. di estratto acquoso di biancospino in grande quantità si riesce a far rientrare una vera e propria tachicardia parossistica; già dopo 10-20 minuti subentra una riduzione evidente della frequenza cardiaca e un rapido miglioramento dei disturbi soggettivi. Nei casi più lievi, soprattutto nelle extrasistoli, basta la somministrazione orale in gocce. Comunque, questa azione del biancospino sui disturbi del ritmo cardiaco rimane sempre al secondo posto nel suo campo di indicazione. Si prescrive il biancospino principalmente nei disturbi ritmici del cuore senile, ma solo allorché essi causano disturbi soggettivi. Si riuscirà più rapidamente a superare una fase di intensificazione di questi poco rilevanti disturbi ritmici, massimamente nei casi di temporanea intensificazione di extrasistoli. Il vantaggio del biancospino, come nel caso della Convallaria, sta nel fatto che lo si può dare senza preoccupazione nelle così frequenti bradicardie del cuore senile. Campi di applicazione Dalle potenzialità di azione esaminate derivano anche i campi di applicazione essenziali: 1. cuore senile, quindi pazienti con mio-degeneratio cordis o con sclerosi delle coronarie e disturbi che ne derivano. A ragione il biancospino è stato definito come protettivo per il cuore senile. Massimamente i disturbi anginosi della sclerosi coronarica tendono a scomparire con l'applicazione di biancospino. Le recidive possono essere ampiamente prevenute. 2. Cuore ipertonico, con o senza insufficienza, principalmente per il mantenimento di un buono stato del miocardio, quindi come protezione o terapia delle complicazioni, in primo luogo della cardiopatia coronarica. 3. Debolezza miocardica dopo malattie infettive, come polmonite, influenza, difterite, scarlattina. Inoltre nell'insufficienza miocardica, dove è necessario il trattamento digitalico, sono indicati il post-trattamento o eventualmente l'aggiunta di biancospino alla medicazione con digitale o strofantina, in modo da configurare al meglio la terapia. 4. Disturbi ritmici del cuore, innanzitutto extrasistoli e attacchi tachicardie!, anche per via endovenosa. Il principale campo di impiego del biancospino sono dunque incontestabilmente le cardiopatie degenerative odierne, nelle loro varie forme. Ne fanno parte la sclerosi delle coronarie, l'angina pectoris e in misura non inferiore tutte quelle condizioni che non si impongono come effettivamente patologiche, in cui però è già presente una moderata riduzione dell'efficienza per ragioni di età. In questi casi si può, per la stessa natura della situazione, prendere in considerazione solo un impiego terapeutico prolungato nel tempo. Da una somministrazione breve non ci si può aspettare nulla o quasi nulla, con l'eccezione delle forme particolari di disturbi del ritmo cardiaco, che abbiamo citato. Ma proprio le cardiopatie degenerative esigono un trattamento assolutamente di lungo periodo. D'altra parte, per questa stessa ragione si capisce perché sia così difficile obiettivare in modo soddisfacente questi risultati, come oggi si richiede. I pazienti, comunque, riferiscono sempre spontaneamente di un miglioramento soggettivo; ma proprio in un processo di lunga durata come le cardiopatie e le arteriopatie degenerative il concetto è difficile da comprendere. Il fatto è che i punti di vista riguardo alle modalità di azione del biancospino divergono in medicina di base da un lato e in clinica dall'altro. Il clinico deve e vuole ottenere con i suoi pazienti un effetto immediato, più o meno come quello che è lecito attendersi dalla digitale o dalla strofantina. Il medico di base, al contrario, deve pensare a un trattamento protratto nel tempo e perciò gli è utile una caratteristica specifica del biancospino: la totale innocuità di un trattamento di lunga durata. Negli usuali dosaggi terapeutici non vi sono né effetti tossici né accumulo né assuefazione. Pertanto un simile trattamento prolungato si può istituire senza alcuna difficoltà o pericolo. Come rimedio ottimale per il cuore senile il biancospino deve essere fatto prendere almeno per molti mesi, meglio ogni mattina e sera circa 30 gocce di tintura, o di estratto fluido o uno degli ottimi preparati pronti, diluendo in un poco d'acqua. Questo tipo di prescrizione ha anche il vantaggio di rimanere facilmente impressa nella memoria dei pazienti. La tollerabilità è talmente buona che anche a livello gastrico non ci si deve attendere alcun disturbo. Senza dubbio il clinico tenderà molto meno a istituire un trattamento con il biancospino; probabilmente fino ai disturbi del ritmo lo userà solo quando voglia sostenere l'azione della digitale nel modo indicato in precedenza oppure in combinazione con la strofantina nelle iniezioni. Nessun effetto immediato nel test del nuoto sui ratti. Dal biancospino non ci si deve attendere un effetto immediato sul muscolo cardiaco. Era quindi fuorviante cercare di dimostrare una insufficienza del biancospino, quando in realtà lo si impiegava in condizioni che richiedevano un effetto immediato. Ciò è evidente, per esempio, nel test del nuoto sui ratti. In questo test si fanno nuotare dei ratti in una vasca con pareti scivolose, fino al momento in cui il loro cuore viene meno ed essi annegano. Prima del test si dava loro un farmaco e, se poi si osservava che essi resistevano a nuotare più a lungo, se ne traeva la conclusione dell'efficacia sul cuore di questo medicamento. Fin dall'inizio ci si doveva aspettare il fallimento del biancospino in un simile test, come poi si osservò anche effettivamente. I poveri ratti annegavano nello stesso tempo, sia con che senza la somministrazione di biancospino, perché l'azione del biancospino non può manifestarsi in un tempo così breve. Non è dunque lecito tentare di dimostrare l'inefficacia del biancospino con simili test. Evidente effetto di lungo periodo sui bombici. Chiarimenti sui potenziali effetti del biancospino si ricavano da una impostazione totalmente diversa della sperimentazione. klatt riferisce le sue osservazioni sul biancospino con i bombici (1966). Egli condusse questi esperimenti per ragioni del tutto diverse, cioè per scopo di ricerca sulla trasmissione ereditaria. I bombici furono tenuti per anni in condizioni severe di allevamento e nutriti nel modo consueto con foglie di ontano. Dopo parecchi anni, essi divennero sempre più debilitati, deposero meno uova e minacciarono di morire. Ciò si sarebbe potuto spiegare come conseguenza dell'allevamento, a causa di una degenerazione e un invecchiamento precoce. Su consiglio di un allevatore di farfalle, che si trovava casualmente in visita, klatt cambiò la dieta di queste colonie di bombici. Invece di foglie di ontano diede loro foglie di biancospino. In seguito a questo fatto, si evidenziò fin dall'inizio un vistoso rinvigorimento. Le farfalle ridivennero più grandi, più forti e deposero abbondanti covate. Si tornò a una rigenerazione normale, che si mantenne costante di anno in anno. L' azione del biancospino fu chiaramente quella di uno stimolante cellulare generale. Qui furono dunque soddisfatta tutte le condizioni che si richiedono nel testare un vero e proprio fitoterapico: innanzitutto la prolungata e ininterrotta somministrazione del fitocomplesso integro. In seguito queste osservazioni furono confermate da altre fonti, sebbene con ricerche non così durature. Da questi esperimenti riusciamo a comprendere bene che il modo di procedere deve essere completamente diverso, quando si vuole saggiare l'azione dei fitopreparati. Con moltissime piante officinali la consueta metodologia di ricerca farmacologica non è sufficiente. In questo campo si devono sviluppare metodiche completamente diverse, di cui oggi ancora non disponiamo. Così il biancospino si presenta come una pianta officinale dalle caratteristiche ben individuate, la cui azione arriva all'effetto desiderato se si conoscono bene le sue particolarità e lo si impiega consapevolmente, nel modo corretto. Il biancospino è un tipico fitoterapico mite. Esso agisce con sufficiente sicurezza solo con una somministrazione prolungata e al tempo stesso è innocuo, non ha assolutamente alcuna tossicità. Dall'altra parte del nostro schema c'è la digitale come modello del fitoterapico forte. Essa agisce immediatamente ed energicamente e ha una considerevole tossicità. Biancospino e digitale sono quindi per così dire gli esponenti dei due poli contrapposti della terapia cardiaca: la digitale il rimedio di prima scelta per un'azione immediata nell'insufficienza cardiaca, il biancospino il rimedio di lungo periodo per le malattie degenerative del cuore, oggi così diffuse, la digitale preferibilmente per l'uso clinico sotto stretto controllo medico e con il continuo pericolo di manifestazioni collaterali di intossicazione, il biancospino come rimedio dall'azione più debole ma duratura e senza alcun pericolo o manifestazioni indesiderate di altro genere, che perciò si può far gestire al paziente stesso, senza per questo trascurare il continuo controllo del medico. Risultati della monografia sul biancospino del Min. Fed. Sanità (BGA) In seguito all'inasprimento del procedimento di autorizzazione per i fitoterapici, che abbiamo già esaurientemente esaminato a pag. 37 e segg., il Ministero Federale della Sanità diede l'incarico di predisporre una grossa e articolata monografia sul biancospino. Vi furono riassunti tutti i dati fino a quel momento conosciuti di natura tossicologica, farmacologica, clinica e pratica e quindi delineate le conclusioni per l'impiego. Questo studio è pensato come un modello per la valutazione del materiale scientifico sulle piante officinali, così come è richiesto dal relativo paragrafo della nuova legge sui farmaci. I risultati di questo grosso ed elaborato studio, che è andato avanti per tutto il primo quadriennio di legislatura della Commissione E (fitoterapia) presso il Ministero Federale della Sanità e che si è concluso solo nella seconda legislatura, sono altamente degni di nota. Essi portarono, contrariamente a parecchie opinioni iniziali pessimistiche e troppo critiche, a un pieno riconoscimento del valore del biancospino con precise indicazioni cardiologiche. Come componenti dei fitopreparati si usano foglie e fiori (DAB 8) e/o frutti (DAB 1979). Come principi attivi sono stati confermati flavonoidi e procianidine oligomere. Per l'impiego si confanno preparati solidi e liquidi, per l'uso orale, e soluzioni iniettabili, per l'applicazione parenterale. Come effetti sono stati accertati e riconosciuti: azione inotropa positiva, azione cronotropa e dromotropa positiva, azione batmotropa negativa, incremento dell'irrorazione coronarica e miocardica. Ne conseguono i seguenti campi di applicazione: 1. ridotta efficienza del cuore corrispondente agli stadi I e II secondo NYHA (New York Heart Association); 2. senso di costrizione e oppressione nella regione del cuore; 3. cuore senile, che non necessita ancora di terapia digitalica; forme leggere di disturbi bradicardici del ritmo cardiaco. A tutt'oggi non si conoscono controindicazioni né effetti collaterali. In questo modo si ha ormai una chiara definizione delle nostre conoscenze fino a oggi e del campo di impiego riconosciuto del biancospino. Una descrizione esauriente dell'insieme dei problemi e delle conclusioni è stata curata da ammon (1981), presidente della Commissione E durante la prima legislatura, a Berlino. Dosaggio e tollerabilità. Nel complesso questa monografia non dice nulla di fondamentalmente nuovo. Tuttavia essa mostra molto chiaramente quali difficoltà presenta la trattazione scientifica di un simile rito-terapico mite. La gran parte dei risultati fitochimici e sperimentali conferma solo, di nuovo, la nozione tradizionale che la pianta medicinale rappresenta un fitocomplesso di natura unitaria, il quale dunque può essere studiato e valutato solo nella sua interezza, e le numerosissime conoscenze sui singoli principi attivi forniscono solo dei punti d'appoggio. Diviene dunque evidente quanto sia difficile la valutazione dei risultati in una patologia espressamente cronica come la cardiopatia coronarica; con l'eccezione dell'attacco acuto di angina pectoris, essa richiede un trattamento prolungato e proprio qui si inserisce il biancospino, grazie alla sua buona tollerabilità e all'assenza di tossicità. Una dimostrazione esatta con i metodi consueti è però difficile o addirittura quasi impossibile. Persino lo studio in doppio cieco non si è rivelato soddisfacente per tali casi, perché dipende da troppi fattori soggettivi e psicologici. Così, non rimane altro che rifarsi alla vecchia buona esperienza del medico, con senso critico e intuizione che non si escludono per niente l'un l'altro, ma anzi si devono vicendevolmente integrare. Questo approccio deve essere preso in considerazione non solo nel caso del biancospino

 


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